ORGOGLIO ITALIANO

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mercoledì 30 gennaio 2008

PERCHè NON FARE COME SARKOZY?


Economia bipartisan
E nella crisi spuntano gli attalisti d’Italia
Politici ed economisti: «Ora servono riforme-chiave, ma l'agenda sia condivisa»


Dobbiamo fare anche in Italia una commissione Attali? Che sia questo lo scatto che potrebbe dare un po' di fiducia nel futuro a un Paese in declino, con un'economia stagnante e asfittica, preoccupato per la bassa crescita e i bassi salari, e umiliato dallo sfarinamento politico? Perché allora non prendere esempio da un'esperienza di laboratorio avanzato come quella avviata dal presidente francese Sarkozy?


Sarkozy, proprio per rilanciare la crescita, e mettere davvero mano a una ristrutturazione profonda del Paese, ha deciso di radunare in spirito bipartisan i migliori cervelli nazionali e non solo (nella Commissione figurano gli italiani Mario Monti e Franco Bassanini), che hanno prodotto un'agenda in 316 punti per riformare le istituzioni e le coscienze, scardinare i blocchi, i privilegi, le resistenze, e fare ripartire la Francia.
Ecco perché val la pena domandarsi se non sarebbe utile anche per l'Italia un'agenda prodotta da menti d'eccellenza che potrebbe fare quasi da base programmatica — e condivisa dai due schieramenti politici — a un governo di alto profilo istituzionale. Archiviata la prima obiezione d'obbligo («Ma qui da noi non c'è Sarkozy»), la risposta di una mente libera della sinistra come Nicola Rossi, economista e deputato, è positiva, ma a patto «di un amplissimo consenso parlamentare, realmente bipartisan, che implichi la coscienza e la necessità, di entrambe le parti, di dover cedere sovranità a questo governo su temi urgenti e condivisi».

E' con questo spirito di esercizio non accademico ma di reale riflessione e proposta politica che apriamo qui la discussione con alcune personalità del Paese, sui punti decisivi per una possibile agenda Attali in salsa italiana. La si potrebbe chiamare anche Commissione Monti, dice Riccardo Illy, imprenditore alla guida della regione Friuli-Venezia Giulia. E dopo una premessa («la dovrebbe nominare un governo che esca da nuove elezioni con una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità») si spinge anche a fare una lista dei nomi che vorrebbe vedere in questa Commissione: Francesco Giavazzi, Giacomo Vaciago, Franco Bassanini, Innocenzo Cipolletta, Pietro Ichino, Tito Boeri, alcune fra le tante persone competenti che abbiamo in Italia ma che, se ci si pensa, non sono mai state riunite insieme a pensare al futuro del Paese.
Illy poi suggerisce anche una priorità, riforma delle aliquote previdenziali e revisione dell'età pensionabile: «Ha fatto bene la commissione Attali a proporre di fatto di spostare l'età limite lavorativa oltre i 65 anni, lasciando libertà di scelta ai lavoratori di ritirarsi o meno, e proponendo di eliminare gli ostacoli al cumulo pensione-reddito».
Altrettanto convinto dei benefici di una Commissione del genere «per un governo di pacificazione» è Antonio Polito,
ex direttore del Riformista e ora senatore del Pd: con l'avvertenza, dice, che per la Commissione Attali-Italia (quasi un anagramma) «vorrei una ventina di saggi capaci di andare ancora più a fondo dei francesi», che dettassero misure precise e dettagliate per il disastro italiano, sul problema delle pensioni, sulle liberalizzazioni, ma soprattutto affrontassero una vera ristrutturazione del tempo di lavoro e del tempo di vita, introducendo un più massiccio ed equo uso del part-time per le donne, ma non solo.
Una discesa in profondità al cuore dei problemi la invoca pure l'economista Tito Boeri, fondatore del sito
lavoce.info, e, per entrare nel merito, indica una serie di punti cruciali che si possono attuare da subito e a costo zero per le casse dello Stato. Primo: decentrare la contrattazione permettendo di meglio remunerare il lavoro nelle imprese più efficienti; secondo: aumentare la flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro, offrendo ai giovani un percorso verso la stabilità; terzo: estendere a tutte le scuole e rendere pubbliche le valutazioni sulla qualità dell'istruzione «affinché le famiglie si battano per un miglioramento qualitativo del livello di istruzione e non solo per far avere ai loro figli "il pezzo di carta"».

Aperti e possibili «attalisti» anche gli imprenditori di nuova generazione, con un solo dubbio: perché funzioni, ci vuole un governo forte, che non caschi «Matteo Colaninno, figlio d'arte, 37 anni, presidente dei giovani di Confindustria, crede che un'agenda condivisa sia proprio quello di cui ha bisogno questo Paese, «me lo auguro come giovane e come imprenditore, perché non siamo in un contesto declinante: le imprese crescono e crescono bene, all'estero ci guardano con rispetto, ma il nostro paradosso è che le sorti del governo sono appese a Mastella». Anche Anna Maria Artoni, altra figlia d'arte con alto curriculum professionale, punta sull'orgoglio d'azienda e batte sul tasto della meritocrazia: «Non ci dobbiamo battere per le donne, per i giovani, ma per i bravi. Premiare i talenti perché la professionalità fa crescere l'economia e ci permette di essere più solidali». E Giuseppe Recchi,
42 anni, brillante manager internazionale di stanza a Roma dove è presidente di General Electric, chiamato da Montezemolo a presiedere in Confindustria la Commissione multinazionali, plaude alle squadre ricche di talenti perché aiutano a vincere nel mondo globale. «Succede nello sport dove facciamo il tifo per team multietnici, dove si dà la caccia al migliore per vincere, perché non dovremmo provarci anche con la politica?».

Paladino della chiamata alle armi dei migliori per soccorrere un Paese allo stremo è pure un manager di lungo corso e fine suggeritore politico come Fedele Confalonieri. «Chiunque vinca le elezioni deve capire che non si può governare senza fare un appello ai migliori. I migliori debbono collaborare per riformare, rifondare (scelga lei il termine che vuole) uno Stato che non funziona. La Commissione Attali? C'è una differenza fra Italia e Francia: Sarkozy scende giù, entra in macchina, gira la chiavetta e la macchina va. In Italia chiunque scenda, ammesso e non concesso che trovi la macchina, gira la chiavetta e non parte. Qui si deve ricominciare daccapo, per questo parlo di rifondazione». Ma attenzione, il percorso deve essere chiaro, conclude Confalonieri, facendosi interprete degli spiriti dell'amico Berlusconi, prima si va subito ad elezioni, perché «questo Parlamento ha dimostrato di non essere in grado di produrre quella svolta di cui il Paese ha bisogno».

Altrettanto scettici sulle ipotesi di governo bipartisan e sull'utilità di una nuova commissione Attali due esperti consiliori del centrodestra. «Proporrei piuttosto di prendere il rapporto Attali e farlo nostro, avremmo già il programma bell'e pronto, con in più la copertura superiore e bipartisan della partecipazione di Monti e Bassanini» dice Giuliano Cazzola. Mentre Maurizio Sacconi annuncia che basterebbe riprendere il filo interrotto dello scorso governo di centrodestra, «e concentrarsi su una decina di disegni di legge da fare nei primi cento giorni, a partire da una manovra economica correttiva per neutralizzare i venti di recessione che arrivano dall'estero».
Ma anche a sinistra oltre ai consensi maturano i dubbi. «L'idea è interessantissima perché è chiaro che questo Paese ha bisogno di uno sforzo congiunto. Ma la sensazione è che sia difficile esprimere questo sforzo: qual è il leader capace di mettere da parte i particolarismi in nome dell'interesse generale? Berlusconi dopo quello che è successo ieri sente l'odore del sangue» dice il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, sostenuto da Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano: «Purtroppo non vedo le condizioni politiche per un governo di questo profilo, ma certo sarebbe auspicabile in un uno scenario economico come quello di oggi».

Una voce dissonante sulla Commissione è anche quella di Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali nell'ultimo governo Prodi e moglie di Franco Bassanini. «Onestamente non credo che abbia dato indicazioni sconvolgenti. Soprattutto per noi italiani che siamo più avanti nel dibattito sulla modernizzazione. Il nostro problema è semmai quello di passare dal dire al fare, sono i poteri di veto cha scattano ogni volta che si tentano i cambiamenti. Cosa dobbiamo fare lo sappiamo già: accelerare i meccanismi decisionali, e, dopo queste vicende sulla Sanità, pensare a misure urgenti per ridare fiducia a chi riconosce il merito e la qualità, e tenere fuori dalla politica gli altri. Per non deprimere ulteriormente il Paese».


Maria Luisa Agnese
26 gennaio 2008

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